L’impatto della “Riforma Fornero” sulle tipologie contrattuali: il contratto a tempo determinato

Circolare: 12/2012 del 12/07/2012

 

OggettoL’IMPATTO DELLA “RIFORMA FORNERO” SULLE TIPOLOGIE CONTRATTUALI:

IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO

 • Legge n. 92 del 28 giugno 2012, articolo 1, commi da 9 a 13 e articolo 2, commi da 28 a 30.

 La legge di riforma del mercato del lavoro prevede alcune novità in materia di flessibilità in entrata, con specifico riferimento ad alcune fattispecie contrattuali, tra le quali il rapporto di lavoro a tempo determinato.

Le modifiche della disciplina del contratto a termine riguardano:

− la contribuzione aggiuntiva a carico del datore di lavoro;

− la possibilità di stipula di un primo contratto “acausale”;

− l’incremento dei termini riguardanti la prosecuzione del contratto e l’intervallo tra un contratto ed il successivo;

− il computo del limite massimo di durata;

− l’impugnazione in caso di nullità del termine apposto al contratto.

Fatte salve le specifiche scadenze indicate dalla legge di riforma, le nuove disposizioni entrano in vigore il 18 luglio 2012.

La riforma del mercato del lavoro (Legge n. 92 del 28 giugno 2012) ha introdotto alcune modifiche (articolo 1, commi 9 – 13 e articolo 2, commi 28 – 30) alla disciplina del contratto a tempo determinato (D.Lgs n. 368/2001 e successive modificazioni), destinate a contrastare l’utilizzo ripetuto e reiterato di tale fattispecie contrattuale, a favore di rapporti di lavoro più stabili.

In tale prospettiva, viene rimarcato il ruolo predominante del contratto a tempo indeterminato, quale tipologia ordinaria e principale di instaurazione di qualsiasi rapporto lavorativo.

A tale riguardo, l’articolo 1, comma 9, lett. a), della Legge n. 92/2012, riscrive l’articolo 1, comma 01, del D.Lgs n. 368/2001, stabilendo che:

“Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.

Si rileva che i vincoli ed i maggiori oneri economici a carico del datore di lavoro, previsti in materia di contratto a termine, rendono meno semplice e vantaggioso il ricorso a tale fattispecie contrattuale.

CONTRIBUZIONE AGGIUNTIVA

 Nell’ambito di una flessibilità in entrata più cara, destinata al finanziamento dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASPI), la riforma del lavoro stabilisce l’applicazione

• con effetto sui periodi contributivi maturati a partire dal 1° gennaio 2013,

• di un contributo addizionale, a carico del datore di lavoro, pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

Con riferimento a tale aumento del costo contributivo, all’articolo 2, comma 29, lett. a) e b) della Legge n. 92/2012, sono elencate alcune eccezioni alla sua applicabilità ai rapporti di lavoro a tempo determinato.

Infatti, il contributo addizionale è escluso per i lavoratori a termine assunti

• in sostituzione di lavoratori assenti;

• per attività stagionali:

− contemplate nell’elenco di cui al DPR n. 1525/1963, nonché,

− con riferimento ai periodi contributivi maturati dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2015, definite dagli avvisi comuni e dai CCNL stipulati entro la data del 31 dicembre 2011 dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.

A parziale ristoro dell’introduzione della contribuzione aggiuntiva, in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato è previsto un “premio di stabilizzazione” (art. 2, comma 30) a favore del datore di lavoro.

Infatti, il suddetto contributo addizionale è restituito, successivamente al decorso del

periodo di prova, nei limiti delle ultime sei mensilità.

In caso di interruzione del contratto non si effettua tale restituzione che, invece, spetta anche in caso di assunzione a tempo indeterminato entro il termine di sei mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine.

Si sottolinea che in quest’ultima ipotesi

“la restituzione avviene detraendo dalle mensilità spettanti un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro a termine.”

 CONTRATTO “ACAUSALE”

 Secondo il nuovo comma 1‐bis dell’articolo 1 del D.Lgs n. 368/2001, con riferimento alla stipula del primo rapporto a tempo determinato

• di durata non superiore 12 mesi,

• per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione,

• sia nella forma del contratto a termine, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato (nuovo art. 20, comma 4, D.Lgs n. 276/2003), non è più richiesto il requisito del c.d. “causalone” (apposizione del termine per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo).

Pertanto, in tale ipotesi viene eliminato il vincolo dell’indicazione della causale, finora sempre necessario (anche per il primo contratto), quale requisito per la sottoscrizione e validità del contratto.

Condizione imprescindibile per la stipula del primo contratto a termine “acausale” è che la sua durata non superi i dodici mesi, altrimenti permane l’obbligo di indicazione delle ragioni giustificative della sua conclusione.

In tema di apposizione del termine la riforma prevede, in via alternativa all’ipotesi di cui sopra, la possibilità da parte deicontratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, di prevedere la non indicazione delle causali per l’instaurazione del rapporto a tempo determinato in presenza di determinate condizioni.

Nello specifico, il contratto acausale è consentito, nei casi di assunzione a termine o di missione nell’ambito del contratto di somministrazione a tempo determinato,

• nella misura complessiva del 6% del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva,

• in presenza di un processo organizzativo determinato dalle seguenti ragioni:

− avvio di una nuova attività;

− lancio di un prodotto o di un servizio innovativo;

− implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico;

− fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo;

− rinnovo o proroga di una commessa consistente.

In merito al nuovo contratto a termine privo di causale, la norma parla di vero e proprio “primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi (…)”, così definendo una condizione che deve essere accertata in relazione a tutti i lavoratori che si intendono assumere.

Si sottolinea che il contratto a termine acausale potrebbe rappresentare un utile strumento per verificare l’idoneità professionale del lavoratore, con una possibile riduzione del contenzioso relativo al mancato superamento del patto di prova, rispetto al ricorso ad assunzioni con contratto a tempo indeterminato.

Infine, la riforma prevede che, rispetto al contratto senza causale, non opera l’istituto della proroga (nuovo comma 2‐bis, dell’articolo 4 del D.Lgs n. 368/2001), i cui requisiti rimangono immutati.

Pertanto, qualora il primo rapporto a termine sia stipulato per una durata inferiore ai 12 mesi, lo stesso non è prorogabile.

PROSECUZIONE DEL CONTRATTO E RIASSUNZIONE: NUOVI LIMITI TEMPORALI

 Nell’articolo 1, comma 9 della riforma del lavoro sono previste alcune disposizioni volte a contrastare l’utilizzo eccessivo e reiterato del contratto a termine, mediante

• il prolungamento del periodo entro il quale il rapporto può proseguire oltre la scadenza (lettere e) ed f),

• l’aumento dell’intervallo di tempo necessario alla stipula di un nuovo contratto a tempo determinato con lo stesso soggetto (lettere g) ed h).

 Prosecuzione del rapporto di lavoro

Riguardo la continuazione del rapporto di lavoro oltre il termine inizialmente fissato dalle parti,

• fermo restando l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione pari al

− 20 per cento fino al decimo giorno,

− 40 per cento per ciascun giorno ulteriore,

• viene ampliato il lasso di tempo di “ultrattività” del contratto di lavoro (art. 5, comma 2, D.Lgs n. 368/2001).

Il periodo di tolleranza per la prosecuzione del rapporto lavorativo oltre la scadenza passa da:

• 20 a 30 giorni se la durata del contratto è inferiore a 6 mesi;

• 30 a 50 giorni per i contratti di durata superiore a 6 mesi.

In tali ipotesi, sussiste l’obbligo del datore di lavoro di effettuare la comunicazione al Centro per l’impiego territorialmente competente (art. 5, nuovo comma 2‐bis, D.Lgs n. 368/2001), entro la scadenza del termine inizialmente fissato, della continuazione del contratto indicando la durata della stessa.

Un apposito decreto del Ministero del Lavoro, da emanarsi entro un mese dalla data di entrata in vigore della norma (18 luglio 2012), deve individuare le modalità di comunicazione.

Dunque, la norma introduce un nuovo adempimento a carico del datore di lavoro, il  quale deve ricordare di comunicare, entro la scadenza del termine originario del contratto, l’eventuale continuazione del rapporto e la sua durata.

Tuttavia, si sottolinea che la disposizione non definisce, in caso di inosservanza, alcuna sanzione particolare nei confronti dell’azienda e sul punto non è da escludersi intervengano successivi chiarimenti.

Intervallo minimo tra contratti

 Il periodo di intervallo minimo da rispettare prima di una successiva riassunzione con contratto a tempo determinato (art. 5, comma 3, D.Lgs n. 368/2001), è notevolmente incrementato e risulta pari a:

• 60 giorni (in luogo dei previgenti 10 giorni) dalla data di scadenza del rapporto a tempo determinato nel caso di contratto di durata fino a 6 mesi;

• 90 giorni (in luogo dei previgenti 20 giorni) dalla data di scadenza del rapporto a tempo determinato se la durata èsuperiore ai 6 mesi.

Comunque, è ammessa la possibilità di ridurre tali limiti temporali, definendone le condizioni, da parte dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Di conseguenza, può essere prevista la riduzione dei predetti periodi fino a:

• 20 giorni nel caso di un contratto di durata fino a 6 mesi;

• 30 giorni nel caso di un contratto di durata superiore ai 6 mesi.

La riduzione dei periodi è possibile per l’assunzione a tempo determinato nell’ambito di un processo organizzativo, determinato da precise ragioni (valide anche in tema di contratto acausale), ovvero dall’avvio di una nuova attività, dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo, dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo, dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente.

In mancanza dell’intervento della contrattazione collettiva, trascorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della suddetta previsione, il Ministero del Lavoro, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, individua le specifiche condizioni per l’operatività delle suddette riduzioni dei periodi.

DURATA MASSIMA DEL CONTRATTO

 La riforma del lavoro interviene anche in tema di successione di contratti a termine (art. 5, comma 4‐bis, D.Lgs n. 368/2001), relativamente al computo dei 36 mesi di durata massima, comprensivi di proroghe e rinnovi, dei contratti per lo svolgimento di mansioni equivalenti fra le stesse parti.

A tale riguardo devono essere considerati, rispetto alla disciplina previgente, anche i periodi di missione aventi ad oggettomansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi del comma 1‐bis dell’articolo 1 del D.Lgs n. 368/2001 (contratto acausale) e del comma 4 dell’articolo 20 del D.Lgs n. 276/2003, riguardante il contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato.

Con i migliori saluti.

Massimo Guidetti